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Le macchine sapranno cosa e come fare meglio di un essere umano?

Scritto da Giorgio Andreoli | 9 ago 2021

Nel suo recente best seller 21 idee per il XXI secolo, tradotto in 45 lingue, lo storico Yuval Harari arriva a dire che entro i prossimi trent’anni, le macchine dotate di intelligenza artificiale saranno più efficaci ed efficienti di noi nella maggior parte delle attività. Non serviranno ingegneri, impiegati, contabili. E neanche operai, autisti, magazzinieri. Le macchine sapranno cosa e come fare meglio di una persona umana.

Harari sostiene che le persone saranno insostituibili solo in ruoli “speciali”, collegati al mondo dell’umano.

E attenzione: persino come medici potremmo non essere i migliori! Tra neanche molto tempo, infatti, le attività di diagnosi e di definizione della terapia, per un umano malato e bisognoso di cure, potrebbero essere svolte più efficientemente e precisamente da un robot dotato di intelligenza artificiale, che segue un protocollo integrato e continuamente aggiornato in tempo reale, che analizza istantaneamente cento variabili legate alla storia sanitaria del paziente.

E in un attimo, una tecnologia capace di confrontare e valutare istantaneamente migliaia di ipotesi terapeutiche sostituisce secoli di formazioni teoriche e studi specialistici sostenuti per diventare medico. Sorprendentemente, Harari ci rivela, invece, che le macchine non potranno sostituire un infermiere.

Cosa ha un infermiere di speciale che lo rende insostituibile? La sua capacità di comprendere una persona. La psicologia di questa persona. Il suo stato d’animo in quel momento, la sua mutevolezza. Harari conclude suggerendo che:

 

se vogliamo avere un ruolo importante e creativo nel mondo di domani, dovremo auspicabilmente aumentare la nostra capacità di comprendere il nostro e l’altrui funzionamento come umani, e di usare questa conoscenza a vantaggio nostro e degli altri.

 

Per farla breve, negli ultimi 500.000 anni non abbiamo fatto grandi passi nella conoscenza e nella gestione dei nostri flussi mentali, delle nostre emozioni, delle nostre passioni. Perciò, i temi toccati da Harari sottolineano la necessità di sviluppare l’educazione e la consapevolezza.

 

Come istruttore di mindfulness, disciplina imperniata sulla consapevolezza, mi impegno per fare in modo che chi vuole progredire nella consapevolezza di sé, si renda subito conto che stiamo osservando un sistema complesso dal suo interno. Questo rende più difficile l’osservazione. Come dire il mito del pesce che cerca e ricerca l’acqua, senza accorgersi che ci sta nuotando dentro.

Èsolo dopo un po’ di tempo che si pratica la mindfulness, che si impara ad osservare, anziché agire automaticamente.

Ci si rende conto che la nostra mente si perde in pensieri ripetitivi. Che reagiamo automaticamente ed emotivamente a degli stimoli esterni, esattamente come facevano i nostri antenati, centinaia di migliaia di anni fa.

Il nostro cervello, il nostro sistema limbico e il nostro sistema nervoso autonomo sono rimasti come allora, ma le condizioni in cui viviamo sono cambiate radicalmente.

È il momento di prendere in mano la conoscenza di noi in modo nuovo. Non REAGIRE. Ma diventare consapevoli della nostra reazione. Osservarla. Comprenderla. E decidere se agire, spinti da quella reazione, o se invece scegliere un altro comportamento. Più vincente. Più adeguato.

Ancora oggi buona parte dei nostri comportamenti umani sono fortemente influenzati da queste reazioni che generano azione rapida ma non efficace. Giudizio. Aggressività.

Tra le soddisfazioni della mia professione c’è sicuramente quella nutrita dai commenti delle persone con cui lavoro ogni giorno. Recentemente, per esempio, mi hanno colpito le frasi di alcune persone di una nostra azienda cliente che, al termine dei corsi di mindfulness in cui li guidiamo a diventare consapevoli delle loro più naturali risposte alle situazioni, ci hanno descritto cosa hanno provato e ciò di cui sono diventati consapevoli, passando da:

“I pensieri corrono e non li riesco a fermare. Le emozioni si instaurano e io posso solo subirle”

A frasi del tipo:

“La pratica della mindfulness è importante per modificare i miei atteggiamenti che sono consolidati e inconsapevoli”

“È la mia capacità di attenzione che aumenta e mi mostra ciò che sto veramente facendo ancora e ancora, senza rendermene veramente conto”

“Sono diventato (più) padrone di me stesso”

E infine, alcuni di loro arrivano a dire:

“Ho imparato a essere io a guidare la mia vita”

“Vivo molto più nel presente. Sento i miei desideri. Le mie passioni. E anche quelle degli altri.”

“Credevo di sapere cosa volevo nella vita, nel lavoro….ma la consapevolezza di me che adesso è più forte, mi fa scegliere…..e quello che faccio, lo faccio davvero meglio!”

“Voglio scegliere la mia vita. E sento di avere le giuste risorse.”

 

Integrata con gli altri pilastri dell’intelligenza emotiva -empatia e visione personale- l’autoconsapevolezza genera importanti miglioramenti della qualità della vita, dell’autostima e delle relazioni con gli altri.

Vivere in una condizione di autoconsapevolezza significa essere in sintonia con noi stessi attraverso l’ascolto del nostro corpo, della nostra mente, del nostro cuore-emozioni.

Si può dire che si utilizza la comprensione delle esperienze interne come fondamento operativo.

L’autoconsapevolezza ci consente di raggiungere una grande chiarezza riguardo a ciò che conta davvero per noi: ci permette di mettere passione rispetto a quello che facciamo, di vedere la strada verso cui andiamo e sentire se è “buona” o meno per noi, ascoltando una voce interiore che unisce intuizione, saggezza e la capacità di essere vigili rispetto a quello che ci succede e al mondo degli altri che ci circonda.

Ancora più importante, l’autoconsapevolezza consente e favorisce la creazione di una visione personale che è più ampia, perché si estende a un territorio cui normalmente non abbiamo accesso.

È la visione che ciascuno di noi può avere di sé stesso quando diventa pienamente consapevole del modo in cui la sua mente limita le sue possibilità di crescita.

“Il raggiungimento dell’interezza richiede che mettiamo in gioco tutto il nostro essere”, scriveva C. G. Jung.

Rimettersi coraggiosamente in gioco, con autoconsapevolezza e empatia, fa sì che diventiamo imprenditori di noi stessi. Nel lavoro! Con gli altri! Nella vita!

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