Intervista di Gregorio Di Leo ad Alessandra Borromini, HR Director per Hermès Italia e Grecia
“Questo anno penso davvero di aver vissuto alcuni dei momenti più forti e intensi della mia vita, sia dal punto di vista personale che professionale. E anche se il mare è ancora in tempesta, facciamo del nostro meglio per rimanere sulla cresta dell’onda. È l’unico luogo in cui si può avere visibilità e guardare al futuro”.
Inizia così la mia chiacchierata con Alessandra Borromini, HR Director di Hermès per l’Italia e la Grecia. Una persona che con il suo savoir faire, la sua cordialità e la gentilezza, abita valori di un’altra epoca e ti fa sentire a tuo agio. Non stupisce che sia alla guida della funzione HR di una delle signature più ammirate e amate del mondo.
“Tra i tanti sconvolgimenti, però, quest’ultimo anno mi ha regalato delle sorprese positive.
Le prime conferme sono arrivate dal mio team HR, che senza fermarsi un attimo ha da subito compreso l’eccezionalità della situazione, e ha fatto tutto il possibile per districarsi nella costellazione di normative schizofreniche che arrivavano da tutte le parti.
L’inizio della pandemia ha creato un senso di spaesamento e confusione, il nostro ruolo è stato fare il possibile per offrire risposte chiare e dare una direzione alle persone della nostra organizzazione.
Dall’altra parte, abbiamo visto tutta l’azienda reagire come comunità. Nonostante diverse persone abbiano vissuto veri e propri drammi, abbiamo provato a mantenere viva la connessione tra di noi.
Abbiamo incoraggiato costantemente tutti a manifestare i loro disagi, per adottare come azienda strategie mirate in base alle esigenze della nostra comunità.
Poi abbiamo lavorato per preparare le persone al rientro nei nostri negozi, consapevoli che avrebbero trovato una realtà differente al loro ritorno, desiderosi di potere uscire di casa e rientrare in contatto con i nostri clienti e con i nostri prodotti.
Per facilitare questo passaggio, abbiamo attivato una serie di attività centrate sulla sicurezza, scoprendo il contributo prezioso che un buon network di partners può offrire.
È stato come reimparare a camminare. Ma la sorpresa più grande è stata quella di scoprire che gli esseri umani hanno una infinità di risorse che a volte rimangono nascoste nella vita di tutti i giorni.
Grazie a questo spirito di collaborazione allargato, siamo riusciti a ripartire al meglio.”
La sfida in questo nuovo contesto sarà quella di riportare le persone nel luogo di lavoro promuovendo, al tempo stesso, la flessibilità che abbiamo sperimentato in questo ultimo anno. Abbiamo organizzato gruppi di lavoro, turni alternati, lavoro in smart working, e adottato tutte quelle modalità che ci hanno permesso di mantenere l’ambiente sicuro, favorendo allo stesso tempo il legame tra le persone.
Noi siamo un’azienda che per sua natura incentiva la socializzazione. Al cuore del rapporto con il cliente c’è una dimensione sensoriale che va dal profumo della pelle, alla consistenza dei tessuti.
L’esperienza Hermès è prima di tutto multisensoriale, ed è fatta di prodotto e persone. Prova ad immaginare che sacrifici sono stati fatti nel momento in cui abbiamo dovuto trasformare questa esperienza alla luce delle nuove norme di sicurezza.
Al tempo stesso, però, abbiamo capito che le modalità che abbiamo implementato a causa dell’emergenza possono arricchire la nostra esperienza omnicanale consapevoli altresì dell’importanza sempre maggiore di un modo di vivere e di lavorare sostenibile.
Il nuovo equilibrio che stiamo cercando di raggiungere è questo: continuare a garantire l’esperienza di inclusione sensoriale attorno alla nostra maison, con un’attenzione sempre più forte verso i temi sociali e ambientali legati al nostro business.
L’altro nuovo equilibrio riguarda la necessità, sempre più impellente da parte di ciascun dipendente, di ricercare un proprio senso nel lavoro che svolge.
Credo che oggi il nostro ruolo, anche come HR, sia quello di offrire una base di valori unica e le opportunità affinché ognuno si senta realizzato.
Dobbiamo impegnarci affinché le persone abbiano la possibilità di trovare un loro equilibrio tra il proprio progetto di vita e quello professionale.
Noi siamo un’azienda inclusiva, e vogliamo tutte le persone a bordo, ognuno con la propria specificità e diversità. In questo, però, serve un grande lavoro da parte di tutti, in particolare da parte dei manager.
Il manager di oggi non ha nulla a che vedere con il manager degli anni ’90. Oggi deve essere, prima di tutto, una persona solida, con un buon equilibrio nella propria vita, in modo da saper, con maturità, accogliere tanta diversità e poterla integrare e valorizzare...
Al tempo stesso, deve dare ispirazione e infondere fiducia, voglia e desiderio di trovare un senso in ciò che si sta facendo.
Siamo in una fase estremamente unica e delicata, in cui dare rassicurazione è fondamentale. Ma la sicurezza la puoi infondere solo se tu stesso hai raggiunto un certo grado di equilibrio personale.
L’altro grande mito che bisogna abbandonare è che sia possibile sopravvivere da soli.
La nostra autorealizzazione passa inevitabilmente dalla collettività: un leader deve avere questa consapevolezza e mettere ognuno nelle condizioni di portare un contributo.
Il risultato di questo processo non si concretizza solo in una maggiore motivazione da parte delle persone, ma anche in un maggior livello di collaborazione e una forte identità.
La ricerca di un significato, la purpose come si dice oggi, trascina le folle da quando l’uomo ha messo piede sulla terra.
Abbiamo bisogno di una mission in cui credere e di leader che ci aiutino in questo.
Negli ultimi tre anni con Wyde — The Connective School abbiamo avuto il piacere di accompagnare una parte della trasformazione interna all’azienda, quella relativa ai flussi di informazione.
Un cambiamento che porta con sé un ripensamento del ruolo del leader e del potere.
Abbatti i silos, fai crollare i limiti gerarchici tradizionali, e hai il mondo davanti a te. Da questo nuovo approccio stiamo avendo un ritorno bottom up mai visto prima, pieno di energia ed entusiasmo.
Oggi siamo all’interno di un percorso grazie al quale tutta l’organizzazione accederà direttamente ad informazioni che prima venivano filtrate dalla struttura gerarchica. Dall’altra parte, cambiano le dinamiche di potere.
Come risponde il manager a questo nuovo approccio comunicativo?
È abbastanza evoluto per gestire questo bottom up esplosivo, senza sentirsi delegittimato nel proprio ruolo?
La nuova modalità richiede una grande maturità da parte di tutti, non solo dei manager, ma dell’intera organizzazione.
È interessante vedere come reagiscono le persone a questa totale apertura: all’inizio ci possono essere degli smarrimenti, ma la cosa più bella è vedere i riscontri positivi.
Ci vuole tanto coraggio e molta energia per poter capitalizzare l’output dei nuovi processi comunicativi. Il processo però sta dando ottimi risultati.
Sulla funzione HR sono state poste delle aspettative altissime nella gestione dell’emergenza.
Ti senti tutto sulle spalle, il peso e la responsabilità di dover dare una risposta ad ogni domanda.
Lì si nasconde il limite, devi essere onesta verso te stessa e verso la tua organizzazione, devi condividere le decisioni con il tuo management, non illuderti che attraverso il tuo job title, da cui dipendono tante aspettative, si possano risolvere tutti i problemi dell’azienda.
Questa è un’illusione pericolosissima. Il rischio va condiviso, bisogna parlarsi, appoggiarsi al proprio team: mai rimanere da soli!
Ma per farlo, devi avere l’umiltà e la consapevolezza che da soli non si arriva da nessuna parte. Un’umiltà che acquisisci con gli anni e con l’esperienza.
Guardando il livello di benessere e il valore dell’organizzazione in cui agisco e vivo, l’impatto che ho sulle persone, non solo in ambito lavorativo ma anche personale.
Sai quanto diventa produttiva un’azienda in cui le persone stanno bene? Amo vedere le persone che trovano la gioia in quello che fanno e la condividono con altri.
Il mio sogno è che a Hermès venga riconosciuto un livello di professionalità elevata nell’ambito dei percorsi di retail.
Vorrei che le persone venissero a lavorare da noi attratte dalle opportunità di crescita professionale che possiamo offrirgli.
Il retail è un mestiere complesso ma affascinante, ed è una scuola enorme che ha dei livelli di competenza sofisticati, ma ancora non troppo conosciuti.
Ogni giorno mi sveglio chiedendomi: cosa posso fare di bello oggi? Pur consapevole delle difficoltà e delle criticità da gestire; ma al tempo stesso, con la fiducia che si possa sempre avanzare e costruire qualcosa di meglio. Io sono sempre stata così. Ottimista e alla costante ricerca della cresta dell’onda.
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