Prima di comunicare, facciamoci le domande giuste


Ha lavorato per 20 anni in aziende multinazionali di diversi settori (farmaceutico, assicurativo, editoriale), ricoprendo ruoli e funzioni diverse. Oggi continua a gestirne i processi di sviluppo e formazione, ma al contempo, ha avviato il lavoro da coach. Incontriamo Laura Leggeri, una di quelle HR che è in grado di relazionarsi con la stessa presenza con un AD e un giovane neo assunto, perché grazie alla consapevolezza maturata, Laura sa leggere con attenzione gli intrecci di cui sono fatte le organizzazioni e danzarci dentro con eleganza.

Insieme, abbiamo ripercorso alcune importanti trasformazioni che ha vissuto per guardare alle opportunità e le difficoltà che incontrano oggi i manager nel dover orchestrare la propria comunicazione quando il cambia contesto.

Nel tuo percorso professionale hai avuto modo di accompagnare la trasformazione digitale del prodotto editoriale, un cambiamento che è molto più di un semplice passaggio di medium. Per le aziende editoriali, così spesso legate alla tradizione, rappresenta un vero e proprio passaggio di paradigma. Che cosa si nasconde dietro questo passaggio?

Ho lavorato nel team HR di aziende editoriali che producono quotidiani, periodici, libri e televisione, e ho avuto la fortuna di trovarmi nel momento in cui la comunicazione digitale cominciava ad affiancarsi al prodotto cartaceo. È vero, dietro a questi cambiamenti c’è molto di più. Ci sono paure e ansie, ma anche grandi apprendimenti. Le persone si chiedono: sarò in grado di esprimermi con altri codici? Il vecchio mezzo verrà messo da parte a favore di quello nuovo? Che fine farà la mia professionalità?

Modificare il mezzo di comunicazione non significava solo trasferire il contenuto da un mezzo all’altro, ma in alcuni casi ripensarlo completamente. Nuove modalità comunicative, nuovi “lettori” e dunque nuove professionalità, nuove strutture organizzative, nuovi stili di leadership.

Quando si affrontano cambiamenti che toccano in profondità il nostro ruolo ci vuole moltissimo spirito critico e una genuina curiosità nei confronti di codici di comunicazione nuovi. Nelle mie esperienze è stato bello vedere professionisti navigati mettersi in gioco e assumere un’approccio sperimentale. L’unico che davvero garantisce di capire che cosa funziona e cosa no.

Un po’ come nell’esperienza che ci hai raccontato, oggi siamo tutti chiamati a gestire il passaggio ad un nuovo medium comunicativo. In questi mesi la nostra comunicazione si è trasferita nell’ambiente digitale, e forse, senza neanche rendercene conto, siamo stati chiamati a dovere rivedere la nostra comunicazione. Quali sono secondo te le difficoltà maggiori che un manager incontra nella gestione di nuovi medium comunicativi?

Il fatto di avere più mezzi comunicativi rappresenta sicuramente una ricchezza, perché permette maggiori possibilità espressive; d’altro canto, ci costringe a rivedere gli assunti alla base della nostra comunicazione e uscire da automatismi consolidati.

Oggi, la prima difficoltà risiede nel riuscire a valutare quale potrebbe essere il mezzo più adatto per le nostre comunicazioni. Sembra banale ma cosi non è. Da quando abbiamo virato le nostre comunicazioni negli ambienti digitali siamo chiamati a chiederci se il mezzo giusto per una comunicazione sia una mail, una chiamata, una video call oppure un’incontro in presenza. Molti non ci pensano, ma riflettere su quale medium sia il più adatto per comunicare con le persone è il primo vero atto di leadership che dovremmo seriamente prendere in considerazione. Credo che molti manager tralascino completamente il fondamentale intreccio alla base di una una buona comunicazione, quello tra obiettivo, contenuto, e interlocutore.

Quale scenario vedi all’orizzonte?

Lo scenario che si sta aprendo nelle nostre aziende è quello di un aumento della complessità gestionale. Il rischio che si nasconde dietro questa nuova complessità può essere quello di voler controllare tutto rischiando di perdersi, oppure al contrario, di fare come se nulla fosse cambiato. Bisogna tornare a farsi delle domande semplici ma fondamentali.

Qual è l’obiettivo del mio messaggio? Voglio informare, rassicurare, o motivare? Quale è il contenuto della mia comunicazione? Come si deve adattare la mia comunicazione a seconda del tipo di medium che andrò ad utilizzare?

Questo vale sia quando dobbiamo relazionarci con dei collaboratori, sia quando, come manager, dobbiamo comunicare con peer o con i nostri capi.

La scelta del medium non è più solo una scelta di comunicazione, è diventata una scelta relazionale e gestionale, proprio perché ogni mezzo è portatore di significati, opportunità e nuove modalità di interagire con l’altro. La verità è che fare questa scelta implica farsi delle domande. Domande che per mancanza di tempo, o a volte, semplicemente per superficialità non abbiamo voglia di farci.

Quali sarebbero queste domande?

  • Crediamo davvero a quello che stiamo per dire? Comunicare in maniera consapevole vuole dire farsi questa fondamentale domanda. Tutto il resto viene dopo.
  • Abbiamo voglia di connetterci agli altri? Molto spesso in azienda si cerca il modo più veloce e indolore per comunicare qualcosa. Anzi, se nessuno ci risponde magari è anche meglio. Potremo sempre dire di avere scritto una e-mail, ma che non abbiamo avuto risposta.
  • Siamo curiosi abbastanza da ascoltare la risposta? Dialogare con gli altri richiede un tempo e uno spazio dedicato. Oggi che i medium si moltiplicano abbiamo tanti spazi, ma sempre meno tempo per il dialogo.
 

Oltre che essere un HR esperta, sei anche una coach. Come un coach può aiutare a comunicare meglio in questo nuovo contesto?

Nella mia esperienza di HR, il coaching ha mostrato enormi risultati nel potenziamento delle risorse a disposizione delle persone. Sono una persona pragmatica e amo vedere accadere le cose.

Il coaching crea l’opportunità di riflettere sul proprio stile di leadership in termini comunicativi, aiuta a generare consapevolezza sull’importanza del dialogo. Prima di tutto di quello interno, perché è il fondamento delle risposte alle domande di prima. In azienda troppo spesso i manager navigano con il pilota automatico, applicando sempre gli stessi modelli. Nel caso di una buona comunicazione il coach allena ad allineare sempre tra loro l’obiettivo comunicativo, le nostre convinzioni e la motivazione che sta dietro la nostra comunicazione. E perché no, a scegliere anche il medium giusto per farlo.

I leader oggi devono consapevolmente ricercare spazi di riflessione individuale e collettiva per analizzare le opzioni a disposizione e i comportamenti migliori in relazione a quello che desiderano ottenere. Un coach aiuta a non replicare il passato, ma ad apprendere continuamente.

Per questo oggi amo alternare la professione di HR a quella di coach, perché credo moltissimo che sia necessario offrire ai singoli le opportunità di farsi le domande giuste. Negli ultimi mesi, il mondo è cambiato e questa è solo la punta di un iceberg che sta mettendo in luce la necessità di portare in azienda una leadership sempre più consapevole.

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Scritto da

We Wyde

Wyde è una Connective School formata da da psicologi, filosofi, antropologi, performer, economisti, imprenditori, manager, esperti di hr e comunicazione, accademici e designer, che si occupa di cambiamento organizzativo e sviluppo manageriale. La mission di Wyde è quella di accompagnare persone, team e organizzazioni a connettersi tra loro e con il loro futuro.

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