La voce della natura chiama gli economisti alla responsabilità


Il Covid-19 e i disastri climatici che richiedono un’azione urgente ci esortano a riconnetterci con la natura che appare dotata di propria soggettività e intelligenza, come riteneva il poeta Tito Lucrezio Caro (94 a.C.-50 o 55 a.C.). La voce della natura ci giunge attraverso le api e gli altri impollinatori. Da loro, impariamo ad ascoltarla e a capirla. 

Solo lo slancio evolutivo della cultura può permettere all’umanità di superare i vincoli dei modelli economici e di vita che hanno portato al fallimento del suo rapporto con la natura.

Nella scienza, il processo di falsificazione separa il grano (il vero, l’elemento buono) dal loglio (il falso, l’elemento dannoso). La spiegazione scientifica dei fenomeni naturali soggiace alla legge ferrea della natura, indifferente alle teorie enunciate dagli scienziati.

Se un certo fenomeno previsto da un modello concepito dagli scienziati non si verifica, quel modello è falso. Contro l’immaginazione scientifica di Einstein si alzarono alte barricate che crollarono di fronte all’evidenza dei fatti mostrati dalla natura.

Al contrario, la vita economica è influenzata dalle teorie e dai modelli previsivi degli economisti. Tra gruppi di diverse scuole di pensiero si scatenano lotte di potere mascherate dietro l’apparente neutralità della peer review (revisione tra pari) accademica, delle organizzazioni intergovernative e dei think tank.

Il loro esito stabilirà quale teoria o quale modello verrà accettato.

Ne consegue un processo di convinzione, avviato dalla parte degli esperti trionfante, affinché i politici favoriscano le politiche discendenti dagli approcci che hanno superato l’esame.

 

Cominciamo a renderci conto che l’enfasi sull’economia come scienza ‘dura’, asservita a misure da applicare a quantità sempre maggiori di commercio e di consumo da parte di individui che mirano esclusivamente all’interesse personale, ha distaccato l’umanità dalla natura.

L’evoluzione dell’economia e degli stili di vita che puntasse a scavalcare il muro “viviamo solo per il pane e il burro attraverso gli scambi monetari” traccerebbe un rapporto positivo con la natura.

Gli attori del cambiamento sono presi dalla tensione emotiva provocata dall’economia della società della conoscenza, in discontinuità con i precetti che l’hanno definita durante le passate rivoluzioni industriali. 

La loro rivolta contro l’Homo Oeconomicus che, ancorato alla ragione astratta, ha scritto norme e dettato regole per sfruttare la natura, è un atto di creatività per esplorare il vasto paesaggio della natura di cui conosciamo una piccolissima parte.

 Il modo astratto di ragionare dell’Homo Oeconomicus è troppo angusto e si concentra su minuscole porzioni della natura. Intorno a ciascuno di esse egli alza muri alti per proteggersi dalle responsabilità ambientali a suo carico.

 

La nuova economia riporta in auge la figura dell’uomo rinascimentale che sperimentando accende l’immaginazione capace di abbattere muri per gettare ponti tra il fare umano e le opere della natura, tra le risorse create dall’uomo e le risorse naturali.

 

Il valore prevale sul denaro; la qualità primeggia sulla quantità.

 Non ascolterà la voce della natura l’atleta che nella vecchia palestra dell’economia si è fatto i muscoli con i farmaci anabolizzanti assunti dall’Homo Oeconomicus. L’ascolto verrà dalla creatività dello sperimentatore rinascimentale.

 

Il mondo dei fatti, anzitutto quelli dell’economia, non fornisce più le rassicurazioni di una volta, non è perfetto.

Oggi, sembra che i fatti abbiano molti significati e siano anche fugaci ed evanescenti. Rincorriamo le vecchie certezze? O dovremmo, invece, trovare storie e narrazioni che ci aiutino a dare un senso alla nostra posizione insicura e instabile?

Navigando sulla mongolfiera delle narrazioni, fatti e dati si elevano a una realtà superiore. Bisogna allora passare alle storie: non perché ci rassicurino o ci cullino nell’autocompiacimento; piuttosto, le storie sono il tessuto connettivo necessario per creare nessi tra persone di scienza e persone di lettere, tra i fatti esposti e la loro rappresentazione narrativa in parole e immagini.

I designer e i narratori sono i partner della natura: ricorrono alla narrativa per aiutarci a dare un senso alla natura stessa.

Se il domani va progettato avendo la natura come partner, non come oggetto, allora nel discorso della progettazione non dovrà mancare il pensiero dei poeti e degli scrittori.

 Johann Wolfgang von Goethe (1749–1832) è uno dei maestri da cui apprendere come partecipare allo slancio vitale della natura. Nella Teoria della natura egli scriveva:

 

La natura è vivente […]. [non è] pura quantità, o comunque una selvaggina da catturare, uno strumento da forgiare secondo l’utilità dell’uomo.

Ricercare la perfezione è ciò di cui diffidava il premio Nobel Richard P. Feynman (1918–1988). Ne L’incertezza della scienza, una delle sue conferenze tenute nel 1963 (John Danz Lecture Series), il padre delle nanotecnologie rimarcò che:

 

non è sempre una buona idea essere troppo precisi.

Altrimenti si arriva a una mappa grande come la cosa che si vuole mappare: perfettamente precisa e perfettamente inutile. A riguardo, lo scrittore e saggista argentino Jorge Luis Borges osservava ne L’Artefice:

 

l’Arte della Cartografia raggiunse una tale perfezione che la mappa di una sola provincia occupava tutta una Città e la mappa dell’Impero tutta una Provincia. Col tempo codeste Mappe Smisurate non soddisfecero e i Collegi dei Cartografi eressero una mappa dell’Impero che uguagliava in grandezza l’Impero e coincideva puntualmente con esso.

 

Solo una narrazione, una storia, può aiutare a trovare il necessario equilibrio tra precisione e imprecisione. Senza tale equilibrio, la scienza stessa fallisce.

 

Per impedire che l’agire in campo economico non superi il limite oltre il quale l’ecosistema collassa, l’incertezza del futuro, il non sapere di non sapere, l’ambiguità delle interpretazioni delle informazioni, trappole e pregiudizi cognitivi disseminati lungo il cammino, consigliano di evitare la ricerca di soluzioni ottimali.

 È con l’umile investigare che si rinvengono soluzioni soddisfacenti, così chiamate da Herbert Simon (1916–2001), Nobel per l’economia nel 1978, per un dispiegarsi dell’economia che sia sostenibile dal punto di vista ambientale.

Dal dottor Frankenstein creatore del mostro apprendiamo che la volontà di superare la soglia del conosciuto conduce verso due vie che si biforcano. L’una è oscura, percorsa da forze avverse insite nello sviluppo, che sia esso scientifico, sociale o economico.

L’altra è illuminata e attraversata dall’ideazione che rende il mondo più comprensibile e amichevole. Imboccare il secondo percorso vuol dire aver preso consapevolezza di quanto l’econosfera e la biosfera siano compenetrate tra loro.

Lavoce della natura chiede di alzare il sipario su uno scenario che incoraggia l’esuberanza mentale, l’evasione dal pensiero concepito dal “metodo erewhoniano”. Così Samuel Butler (1835–1902), l’iconoclasta autore vittoriano dell’opera satirica Erewhon, si esprimeva a riguardo:

 

Quel metodo considerava i cervelli degli Erewhoniani come una specie di santuario dove, una volta introdottasi un’idea, nessun’altra doveva cercare di spodestarla.

 

Si abbandona il tempio affidandosi alla scienza che Butler definisce ipotetica perché prepara ad affrontare situazioni eccezionali scandagliando la possibilità di esistenza di elementi della natura sfuggenti.

La scienza è in continuo movimento, alimentata dall’immaginazione. Nuovi modi d’intendere soppiantano le precedenti ideazioni.

All’alba del 2020, gli scienziati hanno iniziato a solcare il periglioso mare del coronavirus. I loro sono impegni per dare risposte ad ardui quesiti scientifici.

Sulla mappa della conoscenza i naviganti-esploratori hanno tracciato la rotta. Superate le Colonne d’Ercole, ai loro occhi si apre il vasto oceano del non sapere.

 

Muovendosi con la mente entro i confini della conoscenza, essi osservano ciò che tutti possono scorgere, ma arrivano a pensare e pianificare ciò che prima di loro non era stato pensato e progettato.

Privi di mappe, altri naviganti si affidano alla corrente dell’ignoranza per cogliere ciò che gli esploratori ben informati non riescono a percepire.

È così che si crea una tensione tra le deduzioni di questi ultimi -i path finder, che trovano una rotta nella mappa di navigazione- e le intuizioni dei path creator, che intravedono rotte inedite sperimentando l’ignoranza in quanto fonte di creatività.

Occupando lo spazio del non sapere, questi “creativi ignoranti” intraprendono un’avventura che li allontana da John Milton (1608–1674) per seguire le orme di William Shakespeare (1564–1616), secondo l’interpretazione data da William Hazlitt (1778–1830).

Come direbbe il saggista e critico letterario inglese, costoro fanno mostra di possedere:

 

esuberanza inventiva e la più grande libertà dal pregiudizio. Quella di Shakespeare era evidentemente una mente non istruita, sia nella freschezza della sua immaginazione che nella varietà dei suoi punti di vista; come quella di Milton era scolastica, nella trama sia dei suoi pensieri che dei suoi sentimenti […]. Se vogliamo conoscere la forza del genio umano dovremmo leggere Shakespeare.

Quest’articolo riprende il filo dei pensieri esposti nel saggio dell’autore La voce della natura, pubblicato in italiano ed in inglese (Nature’s Voice) dalla bioGraph di Chicago.

Scritto da

Piero Formica

Accademico, Economista e Scrittore - Appassionato di innovazione, collabora con l’Innovation Value Institute presso la Maynooth University in Irlanda,il Contamination Lab presso Università di Padova, e il Cambridge Learning Gateway, presso Cambridge in UK. È fondatore dell’International Entrepreneurship Academy e nel 2017 ha ricevuto l’Innovation Luminary Award dall’Open Innovation Strategy and Policy Group.

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