L’autoimprenditorialità è una questione collettiva


Intervista di Gregorio di Leo a Roberta Atzeni, HR Manager Sham Italia Gruppo Relyens

“Per me l’autoimprenditorialità è molto legata alla capacità di leggere il contesto e influenzare il proprio ecosistema, l’ambito nel quale si opera. Non credo che si possa parlare di in un’autoimprenditorialità che non abbia la capacità di avere un impatto sociale, ambientale e di contesto. Essere imprenditori di sé stessi, dentro e fuori l’azienda, non riguarda meramente gli obiettivi individuali ma piuttosto ciò che di individuale si connette al collettivo.”

Roberta Atzeni, HR Manager di Sham Italia è una persona che va dritto al punto. Parlando di autoimprenditorialità esprime bene un orizzonte di valori, oltre che di competenze che orienta la trasformazione alla quale siamo tutti chiamati dovendo ripensare al nostro ruolo in azienda. Il messaggio è chiaro, niente inizia e finisce con un singolo individuo.

Roberta è al cuore della community di Wyde-The Connective School fin dai suoi esordi. È stata una delle persone preziose che ci ha dato il coraggio di credere nel progetto di un luogo di crescita e sviluppo che potesse mettere al centro il tema delle relazioni umane. Incontrarla per parlare di autoimprenditorialità è stata l’occasione per riconnettersi dopo qualche tempo a distanza.

 

Secondo te quali sono oggi gli ostacoli maggiori che bisogna affrontare per sviluppare un mindset autoimprenditoriale?

“Gli ostacoli maggiori sono dati da tutti i paradigmi del novecento che ci portiamo dietro. Il contesto in cui siamo, il modo in cui impariamo e agiamo sono definiti da paradigmi che non funzionano più. Uno degli ostacoli più importanti è riuscire a maturare la capacità di lasciare andare quello che abbiamo imparato, per imparare dei modi di agire nuovi.”

 

Quali sono le zavorre più pesanti di questo paradigma?

Da HR vedo dei preconcetti organizzativi e di apprendimento legati al passato. Parlo di tutte le dinamiche top down che non funzionano più. Ma che non basta semplicemente sostituire.

Oggi molte aziende condividono questo mantra dell’autonomia, della proattività, del creare tutta una serie di momenti all’interno dei quali le persone possano auto-organizzarsi per portare nuove idee.

Soprattutto nelle aziende multinazionali matriciali, si invitano le a persone a rompere i silos funzionali, e gli si chiede “come volete lavorare? In che modo?”. Si provano a creare spazi di dialogo, ma quello che si verifica poi è che le persone fanno fatica a uscire da quel contesto e inventarsi qualcosa di nuovo.

Molto spesso accade che gli venga lanciata la sfida e poi non vengono accompagnate nella sua realizzazione. Credo che le persone vadano accompagnate a fare il passo successivo, e chiamate ed elaborare quello che possono fare individualmente e collettivamente uno step alla volta. Le dinamiche top-down e bottom up si devono incontrare in una via di mezzo.

Un altro ostacolo importante è l’individualismo. Si fa fatica a rinunciare a qualcosa per fare un passo in avanti insieme agli altri. Tendiamo ad ancorarci ad all’idea che il riconoscimento debba essere sempre individuale. E questo, in un mondo interconnesso non è più possibile.

L’ultima barriera consiste nel far capire che lo sviluppo nasce dall’apertura verso nuove competenze.

La maggior parte delle volte non si tratta di competenze tecniche, ma legate alle abilità trasversali.

Con la volatilità e soprattutto con la complessità che affrontiamo ogni giorno, sia in ambito sociale che di business, sono la curiosità, la capacità di porsi domande, l’ascolto e l’empatia a fare la differenza.

 

Che state facendo in Sham in merito?

Facciamo moltissima formazione applicando tecniche di apprendimento collettivo come quella del co-sviluppo, in cui le persone vengono messe in gruppo e vengono forniti dei tips per farsi da coach l’uno con l’altro.

Noi esseri umani cognitivamente siamo pigri, abbiamo una cassettina degli attrezzi di cui usiamo solo pochi elementi, sempre gli stessi, quelli che hanno sempre funzionato, che ci sono più familiari e che con il tempo ci risultano “comodi”.

Questi percorsi di formazione, e gli spazi di apprendimento collettivo servono per spingerci a guardare alle nostre risorse personali con maggiore curiosità, imparando a trovare alternative più funzionali e che ci rendano anche più soddisfatti e felici.

È una questione di allenamento, con l’allenamento vedi che le persone cambiano le loro modalità e scoprono altri modi di lavorare, di pensare, di vedere il modo e di approcciare i problemi.

Il secondo aspetto su cui stiamo lavorando è il feedback, un concetto molto caro a questa azienda che ha dato moltissimi strumenti ai collaboratori per spingerli ad inserire la pratica del feedback nella quotidianità: proviamo a farlo in maniera divertente, con tools e piattaforme che possano accompagnare il dare e ricevere feedback nella vita di ogni giorno.

E poi c’è tutto il tema delle soft skills, tema al quale tengo in maniera particolare perché in un mondo che cambia continuamente saranno sempre meno le competenze tecniche o l’esperienza a fare la differenza.

Sono invece le competenze umane, e questo lo vediamo spesso già in fase di recruitment, a creare le condizioni per compiere delle trasformazioni e contagiare gli altri.

 

A cosa serve avere degli autoimprenditori in azienda?

 

Noi siamo una mutua assicuratrice che si occupa di Responsabilità Civile Sanitaria, sostanzialmente assicuriamo gli ospedali. Essendo una mutua gli ospedali sono anche nostri associati, quindi potete immaginare quanto ciò che è accaduto abbia impattato nella nostra azienda.

Quello che stiamo provando a fare è distinguerci per il nostro modello. Le assicurazioni tipicamente rimborsano i danni per errori medici quando tali errori sono già avvenuti.

Facciamo questo mestiere da sempre e abbiamo una visione molto ampia dei sinistri in ambito ospedaliero, la nostra missione è contribuire a creare un sistema più intelligente capace di intervenire in maniera preventiva per ridurre il rischio e la possibilità che questi sbagli avvengano.

Come Sham abbiamo dei Risk Manager che vanno negli ospedali a fare degli assessment per valutare i sistemi di controllo dei reparti, dalle cose più banali, a quelle più complesse. Inoltre, all’interno di questo percorso, ci stiamo certificando per diventare una BCorp, e stiamo ponendo l’accento sull’impatto che vogliamo avere nel nostro ecosistema.

Come potete vedere, il tema del collettivo è al cuore della nostra cultura organizzativa.

È facile capire come in questo contesto sia imprescindibile per raggiungere gli obiettivi che ci poniamo sviluppare autonomia e autoimprenditorialità nelle singole persone, spingendole a connettersi al concetto di benessere collettivo.

Se le tue persone non acquisiscono una visione “larga” non aprono le proprie prospettive, non vedono nuove possibilità ecco che anche l’azienda diventa un organismo pieno di punti ciechi. Le persone sono gli occhi di ogni organizzazione e se hanno gli occhi chiusi è chiaro che il sistema prima o poi andrà a sbattere.

Dobbiamo tutti avere gli occhi aperti connettendo quanto più possibile il sistema azienda con quello che accade attorno ad esso, al suo contesto.

Negli ospedali poi oggi esiste una complessità di dati super sensibili legati alla Cyber security. Ci sono tutta una serie di infrastrutture tecnologiche e macchinari che essendo in rete sono continuamente a rischio. All’interno del nostro mondo dobbiamo lavorare con persone che sono in grado di proiettarsi sui problemi del futuro, non solo quelli del passato.

 

Cosa ti fa alzare dal letto la mattina?

Ho imparato con il tempo a non caricarmi di aspettative, consapevole che se parliamo di complessità, gli esseri umani sono tra i più complessi ed indecifrabili tra i sistemi viventi! Eppure il mio lavoro cerca proprio di impattare sulle persone e sul loro sviluppo!

Il mio driver principale è la consapevolezza che ogni giorno attraverso il lavoro sulle persone possa accadere qualcosa, e che un piccolo tassello apparentemente insignificante porterà con il tempo ad una trasformazione: abbattere qualche resistenza, creare maggiore fiducia, mettere le persone nella posizione di essere più consapevoli e più capaci.

Avere anche una sola persona tra tante che ti dice “ma sai che ora affronto quella cosa diversamente, sai che prima non ci riuscivo o non ci credevo ma ora si?”. Ecco, io mi alzo per questo ogni mattina e mi basta. Perché sono convinta che le cose si cambiano un piccolo passo alla volta.

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Scritto da

Gregorio Di Leo

Co-Founder Partner Wyde - Psicologo del lavoro e delle organizzazioni, esperto di Leadership e Risorse Umane, coach formato al CTI di Londra, accompagna individui, team e organizzazioni a svilupparsi e connettersi con il futuro. Nel 2020 è stato selezionato come "pioniere" dell’Economia Circolare dalla prestigiosa Ellen McArthur Foundation.

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