Quello che ho imparato dalla Quinta sinfonia di Beethoven


La vita ha un modo per cambiare tutti noi nel tempo ma spesso il movimento è impercettibile. Ci sono però alcuni acceleratori che possono determinare un cambiamento rapido e significativo nella vita di una persona. La decisione di diventare imprenditrice è stato nel mio caso un grande acceleratore.

La scorsa settimana abbiamo festeggiato i 5 anni di wyde: la nostra squadra è maturata, stiamo crescendo e stiamo iniziando a lasciare un nostro segno. È stato un viaggio lungo e impegnativo, con molti alti e bassi durante il percorso. Wyde è cambiata in meglio negli ultimi cinque anni e anche io.

In questo viaggio ho avuto sempre in mente le parole di Dharmesh Shah — co-fondatore di Hubspot — e le 3 paure che secondo lui — un’impresa al suo ingresso sul mercato — deve fronteggiare:

As a startup: At first you fight death. Next you fight stagnation. Then you fight complexity. It’s a noble fight

Dopo 2 anni di pandemia, mi sento di dire che abbiamo superato le prime due paure, ma ci troviamo ancora immersi nella sfida forse più grande, la complessità. Una delle cose che ho imparato in questi anni è che la complessità esiste, non si può “ridurre” o “semplificare” senza distruggere la ricchezza che la rende una sorgente inesauribile di creatività, esplorazione e innovazione. La complessità ci costringe a fare i conti con un mondo altamente imprevedibile e ricco di incognite, in cui le parole e una logica lineare/sequenziale limitano la nostra capacità di fare “sensemaking”, cioè di dare, insieme, un senso alla realtà con cui ci confrontiamo.

E mi è venuta subito in mente la conversazione avuta con Marco Ossani, surfer di complessità e anche esperto raffinato di musica classica. Mi raccontava Beethoven. Di quanto non fosse solo un compositore tedesco, ma qualcuno che aveva a che fare con il nostro modo di stare al mondo, che aveva conosciuto e saggiato la vulnerabilità e complessità dell’umano. Mi parla della Quinta sinfonia di Beethoven, una delle opere più importanti e celebri della storia della musica: poche note e il suo incisivo motivo iniziale risuona subito nella nostra mente. Penso al quinto anno in wyde. Non perché si possa paragonare alcunché a questa forma sinfonica tra le più grandi realizzate ma perché è una metafora molto potente della vita, del mondo, di qualcosa di inarrestabile che devi vivere, della complessità, dell’incertezza e della debolezza.

Questa sinfonia — mi dice Marco — svela e nasconde percorsi e matematiche che lasciamo ai musicologi, drammatizzazioni e coreografie che lasciamo ad altri ancora — non ci interessano i colpi che il destino batte alla porta o l’esplosione gloriosa del finale a dipingere la vittoria della luce sulle tenebre — e poi forse la vita non è quasi mai una lotta fra luce e tenebre….

Ci interessa il percorso “umano, troppo umano” di un genio vero, tormentato, fragile e fuori dal coro, ma sempre autentico e sempre consapevole di cosa può significare, e per chi, quello che fa.”

Marco mi porta nel mondo sinfonico della Quinta: è il “grafico emotivo” del brano a raccontarci il cammino di un gruppo di persone con i loro sogni e le loro difficoltà, ma capaci di stare assieme e immaginare un futuro, di andare avanti quando la realtà le chiama ad un confronto.

Quindi c’è una sfida, e partiamo da lì — ciascuno ha la sua, e a volte ci si trova su una sfida comune — siamo noi, in gioco con la nostra umanità.

Poi c’è posto per un’oasi di riposo, in cui si recuperano le forze e si cresce assieme, dove l’altro non è un “aiuto” ma uno scopo e, assieme, un significato: bisogna uscire da sé per vedere il mondo e iniziare il “gioco infinito”.

E poi tutto si muove, si trasforma; le sfide ritornano — in forme lievemente diverse, ma risuonano chiaramente - e l’atmosfera può essere incerta e misteriosa: il mondo è complesso, non possiamo pretendere di dominarlo e assoggettarlo, dobbiamo accettarlo e abbracciarlo, di immaginare dove potrebbe andare e quindi assecondare l’emersione di ciò che, assieme, vorremmo realizzare.

E qui il gioco perfetto e commovente delle tonalità fa il miracolo, nel finale della V sinfonia: perché dall’incertezza, dal mistero, dalla riproposizione del “passato” — che però non è più lo stesso perché lo vediamo con occhi diversi… o lo ascoltiamo con orecchie diverse — , come una marea che monta, nasce qualcosa di nuovo, di diverso; è quell’innovazione, quel cambiamento che siamo riusciti a intuire e immaginare, sono le strade possibili che abbiamo percorso, sperimentando, assieme.

E quindi l’ebbrezza, il volo, quella gioia esaltante che racchiude ma non finisce, non è una vittoria — il gioco infinito non termina mai, e nessuno perde — è la consapevolezza di aver fatto qualcosa di bello assieme, e di poter continuare a farlo, senza mai stancarci, senza mai fermarci.

Queste le analogie più belle che si possono trovare con quanto stiamo vivendo.

Non so dove wyde sarà il prossimo anno o fra cinque anni, il mondo cambia così vertiginosamente e in maniera inaspettata. Quello che so è che nel momento di massima velocità di trasformazione noi siamo quelli che stanno decidendo che cosa riusciremo a portare dall’ altra parte.

Fare impresa — soprattutto nel mondo dell’education — è una forma d’arte che, afferrata una o più idee, una o più chiavi che aprono le porte del futuro, ne immagina la trasformazione di persone, team, organizzazioni. È un’arte che fiorisce quando le persone s’incontrano e interagiscono, in gruppi informali e più che scambiarsi idee rientranti nel patrimonio comune di conoscenze si intercettano e condividono idee nuove. E come dice l’amico professore Piero Formica si incamminano lungo il percorso dell’incertezza, del leopardiano ‘forse’ che fa scorgere le possibilità.

Ecco quello che ho imparato dalla Quinta Sinfonia di Beethoven e dai miei cinque anni di wyde:

L’incertezza esige audacia. È importante concentrarsi più sulle interconnessioni che sulle strutture per costruire contesti generativi. L’attenzione si deve spostare dalla previsione degli scenari alla capacità di sopravvivere e competere in qualsiasi scenario.

E la complessità che si sperimenta non è dovuta a ciò che sta accadendo al di fuori di te, ma piuttosto a come stai pensando alla tua relazione con il mondo esterno.

Grazie a tutti quelli che hanno fatto parte di questa sinfonia!

Scritto da

Jlenia Ermacora

Co-Founder Partner Wyde - Dopo 15 anni di esperienza nella formazione e consulenza presso la prestigiosa Istud Business School sul Lago Maggiore, oggi Jlenia, insieme a Gregorio Di Leo, Co-Founder di Wyde, accompagna le aziende a diventare protagoniste di una continua trasformazione positiva.

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