L’Antartide è natura allo stato puro.
Chi ci è stato ha avuto la sensazione di essere alla fine del mondo.
Chiara Montanari, life explorer e prima italiana a capo di missioni in Antartide dice: “Quando sei in cima alla calotta polare, la sensazione è incredibile: davanti a te si estende un deserto di ghiaccio che si perde a vista d’occhio, per 360° c’è solo la linea dell’orizzonte. Sopra, sei abbracciato da un cielo azzurro elettrico, limpido e puro. Non ci sono odori, non ci sono rumori, non ci sono movimenti. Tutto è bianco, immobile e congelato, sembra quasi che anche il tempo si sia fermato.”
Attraverso i suoi viaggi in Antartide e le riflessioni che ha potuto fare grazie a questa esperienza si è resa conto di come l’Antartide si presti a essere una perfetta metafora dell’incertezza, degli imprevisti, l’Antartide è il posto in cui le potenziali situazioni di emergenza sono sempre in agguato. È grazie a queste particolari condizioni di precarietà che ha imparato a reagire in modo efficace nelle situazioni critiche, invece che subirle, a generare benessere invece che stress.
Chiara ha fondato Complexity Aware, una società di consulenza che aiuta le aziende a sviluppare l'"Antarctic Mindset", ovvero la capacità di prosperare anche in situazioni di incertezza. Questa metodologia, che nasce in collaborazione con il filosofo della scienza Gianluca Bocchi, promuove un approccio innovativo alla gestione delle sfide aziendali. Chiara affronta i temi legati al Mindset nell’incertezza nella leadership: perché nei contesti lavorativi è fondamentale la capacità di un leader di far funzionare bene i talenti del suo team articolandoli nelle situazioni che affrontano. A noi ha lasciato una riflessione che parla di Antartide ma soprattutto di persone: come non lasciarci trascinare dall’abitudine di dare etichette.
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“Vivi l’altro come mistero” è una provocazione che ci spinge a porre l’attenzione sull’abitudine che abbiamo di etichettare qualsiasi cosa, incluse le persone. Non c’è niente di male e non è strano farlo, è solo il modo in cui funziona la nostra conoscenza. Tuttavia, questo meccanismo automatico ci fa dimenticare che gli esseri viventi non sono etichettabili. Siamo fatti di puro potenziale. Un potenziale che si esprime in una molteplicità di forme, istante per istante. E il nostro essere nel mondo non è in nessun caso riducibile a una definizione statica.
Guardando più in profondità, quindi, viene da chiedersi se le nostre etichette ci aiutino. Non sarà invece che ci stiamo auto limitando senza motivo?
Per esempio, mentre ci troviamo ad affrontare una sfida collettiva, come può essere un progetto da realizzare in gruppo, ci può capitare di giudicare un membro del nostro team come amico/nemico, capace/incapace, coraggioso/timoroso, brillante/inefficace, etc.
Mettendo un’etichetta stiamo tentando (invano) di limitarlo, di tenerlo confinato dentro una categoria. Sebbene questo ci possa far sentire al sicuro, visto che ci dà l’illusione di comprendere - conoscere - controllare il mondo che ci circonda, in realtà ci sta solo distraendo.
Stiamo valutando il presente sulla base di interazioni che appartengono al passato. E così facendo stiamo riducendo le nostre possibilità di successo perché stiamo creando una barriera tra noi stessi e quello che sta realmente accadendo.
Un giudizio è un velo di passato che si frappone e ci impedisce di agire in modo sincronico con il dispiegarsi della situazione. Qualsiasi sia il contenuto del tuo pensiero, nell’interazione con l’altro tu non ci sarai. Se l’avrai giudicato negativamente, questo ti potrà impedire di far riferimento a lei/lui in questa circostanza particolare e se lo avrai giudicato positivamente non potrai aiutarlo perché non lo starai guardando.
C’è un modo per uscirne?
Mentre interagiamo nelle nostre relazioni quotidiane proviamo a domandare a noi stessi: quale è il mio scopo in questo momento? Risolvere il problema che stiamo affrontando insieme o dimostrare che ho ragione?
Paradossalmente, più l’ambiente cambia velocemente, più la capacità di fermarsi e osservare le dinamiche che ci abitano fa la differenza. Per questo vivere un’esperienza estrema, così come vivere nel nostro contesto storico ricco di incertezza, può rivelarsi una grande occasione. Si creano continuamente nuove sfide e queste sono le opportunità che abbiamo per risvegliarci ai nostri stessi meccanismi automatici. Meccanismi che ci limitano, che limitano la nostra vitalità, la nostra creatività e la nostra gioia.
In questo senso l’Antartide può essere vista come una valida metafora per comprendere alcuni aspetti del mondo contemporaneo.
Scritto da
We Wyde
Wyde è una Connective School formata da da psicologi, filosofi, antropologi, performer, economisti, imprenditori, manager, esperti di hr e comunicazione, accademici e designer, che si occupa di cambiamento organizzativo e sviluppo manageriale. La mission di Wyde è quella di accompagnare persone, team e organizzazioni a connettersi tra loro e con il loro futuro.